Gli iscritti interessati ai profili storici del loro sindacato sono invitati a far pervenire elementi integrativi e documentari riguardanti i trascorsi decenni di vita della FIR CISL (riferimenti: enzo.casolino@cnr.it;
Introduzione
Il rapporto di fiducia e il sodalizio tra operatori della ricerca e sindacato CISL ha origine fin dai primi anni di nascita della Confederazione. La CISL si trova presente negli organismi di ricerca scientifica già a partire dagli anni ’50: organismi – a quel tempo – generalmente conformati sul modello statuale, anche quando erano dotati di ordinamento autonomo, o si trovavano più spesso incorporati nelle amministrazioni ministeriali, e nei servizi tecnici dello Stato. Per cui gli addetti alla ricerca e ai servizi scientifici iscritti alla CISL, fino agli inizi degli anni ’60, afferivano generalmente ai sindacati CISL degli “statali” o a quelli del “parastato”.
L’idea di costituire un sindacato CISL specifico per gli addetti alla ricerca appartiene al decennio’60. Essa derivava dalla maturazione politica intesa a dotare il Paese di una politica della ricerca da cui scaturiva la nascita della categoria degli “enti. di ricerca” distinti dalle università. Gli enti di ricerca corrispondevano alla necessità di fornire alla ricerca scientifica e tecnologica strumenti operativi muniti di maggiore autonomia organizzativa, rispetto a quella delle amministrazioni ministeriali, e capacità di concorrere ed interrelarsi direttamente con gli omologhi istituti scientifici europei ed internazionali.
Per cui, a guardare in retrospettiva, si constata che la nascita della CISL Ricerca, da cui è scaturita la FIR CISL (Federazione Innovazione e Ricerca), trova le sue più profonde motivazioni nella acquisita coscienza anche da parte dei giovani ricercatori di raccogliere le nuove sfide che provenivano dalla crescente integrazione inter-europea e di partecipare ai movimenti tendenti a generare una specifica e congrua politica scientifica per il Paese. Queste le motivazioni di fondo: costruire una politica della ricerca dal lato dei lavoratori per rinnovare il Paese e rafforzarne le strutture democratiche e l’autonomia culturale in un periodo storico in cui la “guerra fredda” imponeva precise scelte di campo. In quel contesto il perseguimento di obiettivi sindacali di carattere salariale non assumeva quindi un rilievo principale.
Nel corso di quegli anni l’ammodernamento delle istituzioni pubbliche determina la nascita di non pochi enti di ricerca: taluni di essi derivavano dalla costola del Consiglio Nazionale delle Ricerche. E’ il caso dell’ente nucleare, il CNEN nonché dell’INFN. Ma al tempo stesso nascono istituti di ricerca in settori prima non coltivati, come quello socio economico: ad esempio l’Istituto di studi sulla congiuntura economica (ISCO), l’istituto di studi sulla programmazione economica (ISPE), l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL). Con l’attuazione dell’ordinamento regionale (1970-72) , anche le regioni si dotano di propri istituti di studi e ricerche, soprattutto quelli destinati al supporto della programmazione economica regionale.
Sul finire degli anni ’60 la contestazione contro l’autoritarismo accademico, nata tra gli studenti delle università si estende anche agli enti di ricerca e caratterizza il transito nel nuovo decennio facendo emergere anche nelle fasce di giovani ricercatori e tecnici forti situazioni di disagio derivanti dalla tendenza del baronato accademico – espulso dalle università – a trasferirsi nella gestione degli enti di ricerca: nei “castelli in collina”, come furono definiti allora. La presenza CISL all’interno degli enti scientifici, in quel contesto, svolse una funzione determinante perché, da un lato, costituì un solido argine alla deriva massimalistica e alla cultura della contestazione permanente e dall’altro, mediante proposte e sollecitazioni, indusse a sostanziali riforme nelle strutture e soprattutto nei comportamenti nei sistemi di gestione degli enti di ricerca, nell’obbligare ad una più mirata allocazione delle risorse finanziarie, all’introduzione – per la prima volta – del “contratto di lavoro della ricerca” in alternativa allo “statuto” dei ricercatori, offerto insistentemente dalle vecchie strutture gestionali delle Amministrazioni vigilanti.
La ricerca scientifica nel contesto politico ed economico negli anni ’60
Il contesto politico dell’Italia democratica nel primo dopoguerra – sia sul versante delle maggioranze politiche che su quello delle opposizioni – generalmente guarda alla ricerca scientifica come ad attività essenzialmente culturale da lasciare all’autonomia delle università. Per di più, all’epoca, occorreva cancellare la traccia degli organismi scientifici e tecnologici voluti dal fascismo. In un primo momento si decretò la soppressione del CNR (come, in materia energetica, dell’AGIP). Gli organismi di ricerca autonomi e le strutture scientifiche operanti nell’ambito della pubblica amministrazione (istituti di ricerca, stazioni sperimentali e centri) venivano considerati solo in quanto prestatori di servizi tecnici per conto dello Stato.
Le strutture di ricerca delle imprese, di norma, non andavano oltre il livello dei laboratori di prove e misure. Il progresso economico italiano – nella concezione allora preminente – doveva derivare dal miglioramento dell’agricoltura e dallo sviluppo imitativo delle attività manifatturiere: settore, quest’ultimo impostato essenzialmente sullo sfruttamento di brevetti esteri.
La ricerca di avanguardia veniva in evidenza sostanzialmente in connessione all’evento “scoperta” nell’ambito dei laboratori pubblici. Evento su cui soffermarsi esclusivamente come oggetto di orgoglio e di immagine nazionale, senza attenzione alle possibili ricadute applicative. Tale concezione peraltro non proveniva soltanto dalla cultura dominante nella classe politica, ma era supportata dal generale sentimento della classe accademica. Vuoi per ragioni di tutela della propria autonomia intellettuale, all’indomani dell’occupazione fascista delle università, vuoi per comodità solipsistiche prediligeva più la riservatezza del piccolo laboratorio di ateneo che il lanciarsi in grandi imprese scientifiche che obbligavano alla collaborazione interistituzionale o al coordinamento e alla programmazione delle attività. In sintesi – allora molto più che oggi – il ricercatore si identificava nella ricerca fondamentale o di base, disdegnando quella applicata.
La collaborazione con i settori industriali non competeva al docente – secondo la mentalità dell’epoca – a meno che il capitano d’industria non lo andasse a stanare o che esso stesso non si sollevasse, per intelletto e lungimiranza, dalla media dei suoi colleghi. Si potrebbe affermare che la distanza tra cervelli creativi e operatori industriali era ben più ampia di quella che intercorreva tra ricercatori e gestori di imprese agricole o coltivatori diretti: vedasi ad esempio la sperimentazione agraria nel contesto della Riforma fondiaria degli anni ’50.
Tale concezione “domestica” della ricerca – perdendo vieppiù terreno nel confrontarsi con l’evoluzione delle istituzioni scientifiche europee e dell’occidente anglosassone – si appigliava alla difesa dell’università come sede primaria della ricerca. Il che voleva dire vietare o contrastare il finanziamento agli organismi scientifici extrauniversitari.
Questo quadro, tuttavia, non era tale da impedire ad illuminate intelligenze accademiche di sollevarsi dalle beghe di facoltà per approdare alla fondazione o al rilancio di istituti di ricerca extrauniversitari di cui si avvertiva via via la necessità. Vuoi partendo dalle esigenze di consulenza e servizi scientifici per le attività dello stato (come fu il caso dell’Istituto Nazionale della Nutrizione e dell’istituto Superiore di Sanità; degli istituti di sperimentazione agraria, delle Stazioni sperimentali del Ministero dell’Industria; degli Istituti Talassografici) vuoi a ridosso di attività industriali (come è il caso dell’istituto Nazionale di Ottica (proveniente dall’INOA – ottica applicata – costituito nel 1927), o della Vasca Navale, cioè ’INSEAN (costituita anch’essa nel 1927).
A questa visione di internazionalizzazione della ricerca italiana aderirono più rapidamente gli accademici fisici che – vuoi ratione materiae, vuoi in prosecuzione dei nobili precedenti che andavano da Corbino al Fermi di Roma e al Fermi degli Stati Uniti- con il gruppo di Amaldi approdarono alla costituzione dell’INFN, staccandolo dai condizionamenti burocratici del CNR di allora. Il tutto veniva , seguito poco appresso dall’istituzione del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN, poi CNEN), staccatosi anch’esso dal CNR.
L’esperienza fu poco dopo ripetuta da quel gruppo di biologi e genetisti affrancatisi dai condizionamenti della medicina ufficiale che approdò – con Adriano Buzzati Traverso- alla costituzione, in consorzio tra CNR, CNEN e EURATOM, dell’Istituto Internazionale di Genetica e di Biofisica, da lui fortemente voluto a Napoli, vale a dire in un territorio impregnato da ben solide sclerotizzazioni accademiche. Quelle sclerotizzazioni plasticamente rappresentate, ad esempio, dalle contestazioni al presidente del CNR Polvani, a cui si assistette nelle stanze del Rettorato di Via Mezzocannone, ove Giovanni Polvani offriva l’assunzione di giovani ricercatori da parte del CNR destinati però ad operare su tematiche di ricerche coordinate tra CNR ed atenei: “La ricerca è libera e non vuole coordinamenti!!!”, come gli fu vociato. Nonostante tutto, l’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica attecchì e visse scientificamente prospero, come prospero visse il Laboratorio, in seguito istituto, di Cibernetica del CNR, anch’esso fortemente voluto da Eduardo Caianiello, anch’egli proveniente dall’Ateneo napoletano, antesignano, tra l’altro, della ricerca nel campo delle reti neuronali.
Le politiche per lo sviluppo economico – in quegli anni – erano concentrate sulla tutela dell’impresa, la quale seguiva – per le proprie affermazioni – ben altri canoni ed altre strategie.
Tuttavia, nel contempo il Paese cominciava ad avvertire l’esaurirsi della spinta economica derivata dalla ricostruzione e rinascita del dopoguerra, vale a dire: quel processo di crescita connotato come “miracolo economico italiano”. Si iniziavano ad avvertire i limiti di saturazione tipici di una industria di imitazione e fonte di saturazione dal punto di vista ambientale. Nel contempo, sul finire degli anni ’50 e per buona parte del decennio successivo, gran parte dell’apparato politico si attardava a guerreggiare – in materia di nazionalizzazioni e partecipazioni statali (energia elettrica, petrolio, chimica e farmaceutica) e sulla dogmatica della programmazione nazionale.
In questo contesto la necessità di rafforzare il potenziale scientifico nazionale e le strutture di ricerca indirizzate anche allo sviluppo economico, in aggiunta alla necessità di adeguare verso i livelli europei il numero dei laureati nelle facoltà scientifiche – da cui la necessità di riformare le università a partire dalla loro vita interna – veniva avvertito da una ben limitata schiera della classe dirigente e dell’apparato politico nazionale. Nella pratica il canone “scienza e cultura” viveva ancora ben distinto – anche in buona parte dei documenti politici – se non in contrapposizione a “scienza ed economia”. Ben lontana in Italia era la cultura basata sull’endiadi “scienza e sviluppo” : la R&D che veniva ribadita – siamo agli inizi degli anni ’70 – nei documenti dell’OCSE, in cui si invitava gli europei a transitare dalla concezione di “politique pour la science” a quella di “politique par la science”.
Agli inizi degli anni ’60 si aprì, a livello economico e culturale, un ampio dibattito sul “gap tecnologico”: vale a dire il ritardo nello sviluppo delle nuove tecnologie come principale causa del ridotto sviluppo delle economie europee rispetto a quelle nord americane dell’epoca.
Il 26 luglio 1960 Fanfani costituiva il sedicesimo governo della Repubblica, il suo terzo incarico, che si protrarrà fino al 21 febbraio1962. Quella fu l’occasione per lanciare una serie di iniziative rivolte alla costituzione e rafforzamento di una rete di organismi scientifici e l’acquisizione di giovani ricercatori specificamente dedicati alla ricerca e sviluppo. Cominciò da una decisa riforma del CNR, attuata con la legge (283/1963), che introduceva il metodo elettivo nella formazione del cosiddetto “Parlamento della scienza”. La dotazione dello Stato al bilancio del CNR, nel luglio del 1961 (l’anno finanziario dello Stato allora partiva dal primo luglio di ogni anno), passò in un sol colpo da 300 milioni a 6 miliardi di lire. Il governo dell’epoca nominò Giovanni Polvani alla direzione dell’ente, con il compito di creare una nutrita schiera di nuovi ricercatori anche col ricorso a strumenti amministrativi che non avranno mai l’approvazione della Corte dei conti: i cosiddetti “contratti Polvani” con cui venivano assunti ricercatori e tecnici di laboratorio.
Nel contempo il Governo portava la dotazione quinquennale del CNRN (Comitato Nazionale per la Ricerca Nucleare) alla cifra – astronomica per quel tempo – di 80 miliardi di lire e conferiva ad esso la personalità giuridica propria, sganciandolo definitivamente dall’amministrazione del CNR. Cosicché Il CNRN assunse nuovo slancio – soprattutto su impulso di Felice Ippolito – congiuntamente ad un nuovo ordinamento: il Comitato Nazionale per la Ricerca Nucleare assume la denominazione di Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN).
Tra i compiti non secondari che il Governo affidava al professore Polvani si collocava l’obiettivo di coordinare le competenze scientifiche- presenti nelle università e nell’Aeronautica Militare- nel settore della ricerca spaziale potenziandole con la creazione di un Laboratorio per la ricerca spaziale (che troverà sede presso l’Aeroporto dell’Urbe, a Roma). La valenza anche politica di quel compito era quella di portare il “tricolore nello spazio”, obiettivo affidato a Luigi Broglio (docente di ingegneria aeronautica dell’Università di Roma e al tempo stesso generale dell’Aeronautica Militare). Con il Progetto San Marco, il cui primo lancio avvenne il 15 dicembre 1964 (a cui seguirono altri quattro tra il 1964 e il 1988), l’Italia si inseriva tra i partners della competizione spaziale.
Impulso non differente fu impresso al CNEN per lo sviluppo della ricerca nucleare e per la costruzione delle prime centrali, in concomitanza e a valle della nazionalizzazione dell’energia elettrica, in collaborazione con il CISE e l’ENEL e con la creazione del Centro Comune di ricerche EURATOM a Ispra.
In conclusione, tutto questo costituiva il quadro politico-economico ed amministrativo in cui iniziò ad operare, nel dopoguerra, la prima generazione di ricercatori e tecnici extrauniversitari.
Il processo di sindacalizzazione nel settore della ricerca e la nascita della CISL-Ricerca
La nuova e più ampia base di ricercatori e tecnici nel settore pubblico – una generazione di giovani che portavano nel pubblico impiego una somma di competenze professionali e di vocazione all’autonomia concettuale ed operativa – cominciò presto a battersi per l’ammodernamento di metodi e prassi gestionali a cui la burocrazia ministeriale e le incrostazioni accademiche tendevano ad assoggettare anche i nuovi organismi scientifici. La spinta verso una aggregazione sindacale provenne quindi prima di tutto da questo tipo di motivazioni, a cui si aggregarono anche quelle di carattere normativo (la richiesta di un contratto di categoria) e infine quelle di carattere salariale.
Queste istanze sindacali tuttavia non riuscivano generalmente a trovare corrispondenza nell’ambito di organizzazioni confederali. A quell’epoca esse tendenzialmente non prendevano in considerazione la tutela degli interessi delle fasce più professionalizzate del pubblico impiego. Cosicché – all’epoca – gli ingegneri, medici, avvocati pubblici dipendenti si riferivano, generalmente, non a sindacati confederali o autonomi, bensì ad associazioni nazionali di categoria e ad albi professionali.
Va sottolineato, tuttavia che, all’interno del CNR, già negli anni ’50 la sigla CISL era presente. Agli inizi degli anni ’60, responsabile della CISL CNR era l’ingegner Paolo Bellino, ricercatore dell’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, organismo che allora era insediato all’interno della sede centrale dell’Ente.
Con l’immissione nel CNR di un consistente corpo di nuovo personale amministrativo e scientifico, l’attività sindacale si rianimò tanto che – per ampliare la sfera dei pochi iscritti alla CISL – nel 1963 venne data vita anche ad un periodico dal titolo “Iniziativa sindacale”. Tuttavia l’afferenza alla CISL – come pure quella ad altre sigle confederali – non trovava grande riscontro tra i giovani ricercatori che cominciavano ad essere dislocati in tutt’Italia nei nascenti istituti CNR e CNEN proprio perché le tematiche rivendicative riguardanti la politica della ricerca e il ruolo degli enti di ricerca nel Paese trovava scarso riscontro all’interno delle Confederazioni. L’attenzione di esse era concentrata sostanzialmente sulla tutela degli occupati presso le imprese, e in particolare sugli addetti meno professionalizzati. In quel periodo i dipendenti del pubblico impiego, e in particolare gli “statali” – soprattutto gli “amministrativi” – si dividevano tra i vari sindacati autonomi che si distinguevano in base alla categoria, o qualifica, di impiego: Dirstat, per i laureati; Constat, per gli impiegati di concetto (i diplomati, per intenderci) ecc.
Il movimento del ’68 – presente negli enti di ricerca dell’epoca anche mediante talune occupazione delle loro sedi centrali – costituì il catalizzatore per portare alla creazione di associazioni nazionali di ricercatori (come l’ANR nel CNR).
Nell’ambito del CNR si costituì, quindi, l’Associazione Nazionale Ricercatori, con l’intento di tutelare l’autonomia degli enti di ricerca nochè gli aspetti contrattuali e retributivi della nascente categoria: una categoria che presentava decise atipicità. Si trattava infatti di ricercatori e tecnici acquisiti dal CNR sulla base di un modello contrattuale (i cosiddetti contratti Polvani) mai approvati, anzi rigettati dalla Corte dei Conti, ma confermati nei fatti dalla volontà politica di Fanfani e dalle determinazioni di Polvani stesso.
L’iniziativa presentava alcuni profili di specificità per il motivo che – come si è detto – le confederazioni sindacali dell’epoca generalmente non si proponevano la sindacalizzazione delle fasce professionalizzate dei lavoratori. D’altro canto, medici, ingegneri, periti e geometri affidavano i propri problemi sindacali ai rispettivi ordini professionali. Chimici, biologi e simili – non liberi professionisti- e quindi non tutelati dagli ordini, afferivano ad associazioni di categoria che si rapportavano ai contratti di lavoro delle imprese di settore (contratto dei chimici, farmaceutici, elettrici, e così via). Inoltre per la mentalità dell’epoca non era confacente che i professionisti appartenenti al pubblico impiego si iscrivessero al sindacato, e tanto meno a quello confederale, in quanto la figura di funzionario pubblico veniva generalmente ritenuta incompatibile con il profilo di lavoratore comune.
D’altro canto, in questo contesto, a maggior ragione i ricercatori, in sostanza una generazione di giovani già adusi alla vita di ricerca in istituti esteri, aperti al confronto e alla competizione scientifica internazionale ben vedeva il gap culturale che presentava l’organizzazione degli istituti universitari, il ritardo nelle procedure di gestione della burocrazia statale dell’epoca. Tutto questo determinava che l’associazionismo dei giovani ricercatori dovesse mirare prima di tutto al rinnovamento della politica della ricerca e, in derivazione alla tutela contrattuale e sindacale che ne sarebbe derivata.
Va sottolineato, tuttavia, che – rispetto ad altre sigle confederali – la CISL si dimostrerà antesignana nella sindacalizzazione dei lavoratori del pubblico impiego in generale e in particolare di quelli appartenenti al comparto degli enti pubblici economici: il cosiddetto “parastato”.
A pochi mesi dal “maggio francese del ’68 della Sorbona, il CNR venne occupato dal Movimento Studentesco. La saggezza del presidente dell’epoca Vincenzo Caglioti riuscì a determinare lo sgombero della sede centrale senza l’intervento della polizia, intervento che avrebbe determinato una radicalizzazione che purtroppo, in altri contesti, determinò ben altri eventi luttuosi.
Gli eventi legati al Movimento Studentesco all’interno del CNR portarono ad evidenziare una maggiore propensione alla sindacalizzazione da parte del personale dell’ente: il che – sulla stessa spinta – avvenne anche presso gli altri enti di ricerca. Quanto meno si determinò il superamento della fase dei sindacati di qualifica, per accedere alla fase della sindacalizzazione tramite le associazioni unitarie (ricercatori, tecnici e amministrativi) di ente. All’ANR del CNR aderirono quindi anche i tecnici e gli amministrativi.
L’occupazione del CNR si ripeté nel giugno del 1969 e fu provocata, quella volta, essenzialmente non da istanze di tipo politico bensì da motivi rivendicativi riguardanti il personale amministrativo e la gestione dell’Ente.
In coincidenza con quell’evento si avvertirono le prime incrinature di fondo all’interno dell’ANR, in cui si registrava, da un lato, un certo disinteresse da parte dei ricercatori nei riguardi delle tematiche proprie degli amministrativi e dei tecnici di laboratorio, e dall’altro i contrasti tra i massimalismi dei “filomaoisti” e le istanze dei “riformisti”.
Il fenomeno del ’68 all’interno degli enti di ricerca determinò comunque una decisa penetrazione ideologica di tipo politico e quindi – attraverso le istanze del personale – l’introduzione di comportamenti e tattiche tipicamente partitiche.
Nel maggio del 1970 la dirigenza dell’ANR di allora tentò di ripetere una occupazione del CNR rivolta – negli intenti dei promotori – ad influenzare la nomina del nuovo presidente del CNR.
L’occupazione, la terza, non ebbe alcun seguito. Per cui l’ANR si ritrovò nell’autunno dello stesso anno, frastornata e divisa, al congresso di Tarquinia. L’esito fu la decisione, assunta a maggioranza, di sciogliere l’Associazione e di confluire in blocco nella CGIL.
Ovviamente la confluenza – a pacchetto, come si disse – dell’ANR nella CGIL determinò una decisa spaccatura anche all’interno degli iscritti. Per cui, all’indomani del congresso di Tarquinia, gli iscritti ANR (promotori: Campanella, Casolino, Carrara) non convinti dell’operazione, decisero di ricostituire tra i dipendenti del CNR, ricercatori, tecnici e amministrativi, il sindacato CISL. Con il tesseramento del 1971 esso assunse la denominazione di CISL Ricerca-CNR.
I dipendenti del CNEN – nello stesso periodo seguivano un percorso sostanzialmente parallelo. All’indomani della costituzione del CNEN (1960) – proveniente dal CNRN – CNR – i lavoratori si erano aggregati sindacalmente già nel 1961 nel SANN (Sindacato Autonomo Nazionale Nucleari), rivolto all’adesione, senza distinzione di qualifica, di tutte le categorie del personale dell’ente. Espressione del SANN fu – per oltre un quinquennio – a partire dal 1963 – il periodico “il nucleare”.
Come nel CNR, tuttavia, l’esperienza del sindacalismo autonomo anche lì si conclude nel giro di pochi anni. Anche all’interno del CNRN la CISL prende vita con la costituzione del SILARN (Sindacato Lavoratori Ricerca Nucleare).
Il SILARN nasce da una presa di coscienza all’interno dei dipendenti del CNEN che non si riconoscevano più nelle linee rivendicative e nei comportamenti sindacali del SANN. Il 19 gennaio 1966 un significativo gruppo di lavoratori presenti nelle varie sedi CNEN si costituisce in Gruppo promotore per la fondazione del Sindacato Nazionale dei Lavoratori della Ricerca Nucleare (SILARN). Il giovane sindacato afferisce alla CISL – FLAEI (Federazione Lavoratori Aziende Elettriche Italiane) (Vedi: SILARN, Relazione al 2. Congresso nazionale : Milano, 8-9-10 marzo 1969, SILARN aderente alla FLAEI-CISL. – Roma : s.n., 1969, in Linee per una politica nucleare italiana) raccogliendo da subito un nutrito numero di adesioni tra i lavoratori dell’Ente, del CISE (dal 1967) e di EURATOM.
Il personale sindacalizzato degli altri organismi di ricerca operanti quali organi tecnici dei singoli ministeri (ISS, INN,, ecc.), afferiva generalmente ai sindacati della funzione pubblica (dirstat, constat, ecc.) in ragione della rispettiva dipendenza da organismi pubblici e non in ragione della “funzione ricerca” in cui essi erano impegnati.
Agli inizi degli anni ’70 la nascente categoria degli “addetti alla ricerca”, ricercatori, tecnici e amministrativi, costituiva oggetto di lusinghe, accaparramenti e minacce da parte di opposti schieramenti partitici. Allo stesso tempo il vecchio baronato universitario che non aveva digerito il ‘68, scacciato dalle contestazioni studentesche, tendeva a riaggregarsi nei – come si disse in quegli anni – “castelli in collina” che avrebbero dovuto – secondo quel disegno – diventare gli enti di ricerca e in particolare il CNR la cui struttura gestionale di allora, a base elettiva, consentiva ad esso una maggiore agibilità. In sostanza quel modello gestionale intendeva ripetere pedissequamente nell’ordinamento scientifico degli enti la divisione per discipline didattiche e non secondo criteri di coordinamento e orientamento alla soluzione di problemi, e – in parallelo – ad attribuire a quella categoria di lavoratori un trattamento normativo del tipo “stato giuridico”, vale a dire un complesso di norme non contrattualizzate, rispecchiante – nell’ordinamento delle carriere e nelle progressioni economiche e giuridiche – l’ordinamento universitario e ministeriale. Su altro versante, l’apparato burocratico dello Stato, presente all’interno degli enti mediante propri rappresentanti e mediante il controllo preventivo dei ministeri vigilanti, per parte propria tendeva a riportare sui ricercatori il modello statuale. In sostanza i due processi miravano comunque ad escludere il trattamento contrattualizzato.
La qualità delle tesi della CISL CNR trovavano convalida nella parallela posizione del nascente sindacato CISL Università che anch’esso si batteva – in contrasto con la dirigenza degli atenei e del Ministero vigilante – per un trattamento contrattualizzato e per il superamento dell’associazionismo accademico di categoria (vedi ANPUR). Per cui queste motivazioni di fondo di politica della ricerca e la necessità di pararsi dai citati “opposti estremismi” portarono, in quel periodo, il Sindacato ricerca CISL ad un’azione molto intensa di collaborazione con la CISL Università. Nello stesso tempo il personale degli enti di ricerca operanti più strettamente con il CNR (vedi, ad esempio, Istituto Nazionale della Nutrizione, Istituto Italiano di Alta Matematica, Istituto Nazionale di Geofisica) si orienta verso una iscrizione alla CISL CNR chiedendone un ampliamento verso tutti gli altri enti.
Nel corso del 1972, sul nucleo iniziale della CISL CNR, si costituisce quindi la CISL Ricerca che tiene il suo primo congresso nazionale a Firenze nel settembre 1972. Lì si sostenne e si deliberò la necessità di addivenire ad un “contratto unico” per i lavoratori della ricerca (ricercatori, tecnici ed amministrativi): a partire dalla unificazione contrattuale all’interno di ogni singolo ente, come era già avvenuto per i dipendenti CNEN e INFN che già si muovevano su una linea contrattuale unitaria. Tale linea si opponeva quindi alla posizione delle amministrazioni della generalità degli altri enti di ricerca che sostenevano invece il trattamento non contrattualizzato, trattamento racchiuso nella formula “stato giuridico dei ricercatori” e “stato giuridico del personale”: la differenza sostanziale stava nel fatto che lo “stato giuridico” non era unitario e doveva scaturire da provvedimento autoritativo e non da atto concordato.
In questa stessa direzione – come si è detto – si muovevano i giovani docenti delle università, i quali, con gli stessi obiettivi politici e rivendicativi, iniziarono ad operare all’interno della CISL Università con cui la CISL Ricerca si apprestò a collaborare.
La direttrice di cooperazione tra la CISL Università e la CISL Ricerca, nel corso del 1972, porta la CISL Ricerca anche alla pubblicazione di un proprio notiziario (CISL – Notiziario Sindacale Università a Ricerca con Enzo Casolino, direttore del periodico, i condirettori erano Luigi Campanella, segretario generale della CISL Ricerca e Giampaolo Rossi, segretario generale del Sindacato CISL Università) significativamente rivolto anche all’ambito universitario.
La cooperazione con la CISL Università, tuttavia non portava a trascurare l– da parte della CISL Ricerca – le tematiche di politica della ricerca degli altri maggiori enti scientifici come il CNEN e l’INFN i cui lavoratori avevano anch’essi superata la fase del sindacalismo autonomo ed avevano già scelta l’aggregazione confederale nella CISL e l’afferenza alla CISL FLAEI, vale a dire la federazione dei lavoratori elettrici. Ragione per cui una mozione del direttivo CISL-Ricerca del 29 dicembre 1972 ci dice che la CISL Ricerca “coerentemente con le decisioni del I Congresso Nazionale del Sindacato (Firenze, sett. 1972), in relazione alla soluzione del problema dell’unità sindacale, auspica la formazione, nell’ambito della Confederazione, di una Federazione Scuola-Ricerca e si rende promotore di tale iniziativa presso gli organi direttivi della Confederazione. In tal senso, invita ad esprimere la loro opinione i sindacati di settore interessati, in particolare CISL- Università e SILARN.
Dopo il congresso di Firenze, l’assetto sindacale, dal punto di vista organizzativo, rimase, tutto sommato, inalterato per circa un ulteriore triennio, ricevendo una scossa solo in prossimità del cosiddetto “riordino del parastato”. Quel riordino comportava in sostanza l’accorpamento e unificazione dei trattamenti di tutti i dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato (il Parastato, per l’appunto): la novità della legge n.70/1975 consisteva soprattutto nel fatto che essa introduceva per la prima volta a livello generalizzato la contrattazione nell’ambito del pubblico impiego. Il contratto del “parastato”, per l’appunto, stabiliva il procedimento tipo per riuscire a coniugare -riguardo al trattamento del persoale – il modello privatistico, proprio della contrattazione, con il modello pubblicistico, costituito dalla natura di provvedimento della Pubblica Amministrazione con cui esso veniva emanato (il D.P.R., per l’appunto). Ogni ente pubblico fino allora aveva proceduto amministrando il personale mediante specifici trattamenti giuridici ed economici discendenti da legge o da decreti non contrattati. Si riscontravano talune similitudini tra enti appartenenti allo stesso settore (es. previdenziali, assistenziali, ospedalieri, CONI), ma tale andamento non impediva sostanziali difformità non tanto nei livelli stipendiali, quanto nei criteri di accesso e nelle dinamiche di carriera. Per cui si manifestò evidente l’interesse delle confederazioni a favorire la “riforma del parastato” nella misura in cui introduceva anche nel pubblico impiego la contrattazione collettiva. Dal punto di vista politico invece l’operazione riforma tendeva principalmente a determinare una ridistribuzione di potere e di influenza su tali enti tra i singoli partiti politici, in modo da ridimensionare il ruolo incontrastato che vi aveva esercitato la Democrazia Cristiana.
La riforma ebbe una non breve incubazione. La CISL Ricerca già nel giugno 1972 si pronunciava non favorevolmente verso tale soluzione; indirizzi ribaditi nella piattaforma rivendicativa del novembre 1972, per cui una mozione del direttivo CISL Ricerca del 20 dicembre 1972 stabiliva di “verificare con il SILARN, le possibilità di accordo sullo stato giuridico e l’atteggiamento che esso assume in ordine al d.d.l. del parastato”. Nel contempo il direttivo “decide di prospettare al Presidente del CNR (Faedo) che il Sindacato richiede uno stato giuridico unico per il personale della ricerca che sia contrattato e contrattabile”.
In effetti durante tutto il primo quadriennio degli anni ’70 il principale impegno rivendicativo della CISL Ricerca era rimasto concentrato per introdurre negli enti di ricerca il criterio del rapporto di impiego del personale strutturato su base contrattuale. Fu quella una decisa conquista di cultura politica prima che sindacale, che portava a rinnegare – per gli enti di ricerca principalmente – e poi per tutto il pubblico impiego – il criterio dello stato giuridico ed economico discendente da legge e quindi non contrattato. Il contratto CNEN aveva fatto scuola. Ma anche nell’ambito del CNR la presidenza Caglioti (1965-1972) aveva aperto ad una certa pratica contrattuale nei rapporti con l’ANR, oltre che per preveggenza culturale, anche perché trovatosi ad utilizzare i “contratti Polvani”, vale a dire un modello di trattamento del personale – fortemente voluto a suo tempo da Fanfani – ben distante dalle sclerosi dei “ruoli” e “qualifiche” tradizionali del pubblico impiego. Dopo gli eventi del ’68, l’avvio dell’ondata restauratrice nell’ambito delle Università aveva tentato di ripristinare anche negli enti di ricerca i precedenti assetti riguardo al trattamento del personale.
La resistenza degli amministratori degli enti scientifici fu dura, in quanto provenendo essi principalmente dalle università, temevano che la formula contrattuale si sarebbe estesa anche negli atenei. Ma i tempi erano cambiati. La classe dirigente delle università e della ricerca – proprio perché costituita da esponenti scarsamente inseriti nei meandri dei partiti politici o sensibilizzati verso la dimensione politica che andava assumendo la ricerca scientifica – non riuscì ad inserirsi nel dibattito politico più generale che andava affermando la necessità di un riassetto della miriade di enti pubblici. Nel braccio di ferro tra i partiti di maggioranza che godevano di posizioni di rendita all’interno di tali enti e partiti di opposizione mossi, peraltro, principalmente dal desiderio di introdursi nell’area di tali rendite, il sindacato confederale ebbe facile gioco nel sostenere una riforma che introducesse comunque il principio della contrattazione: un evento storico in quanto per la prima volta si introduceva il criterio contrattuale nell’area del pubblico impiego.
Le dirigenze degli enti di ricerca – ostili verso la “legge del parastato” proprio perché introduceva il modello contrattuale, ma anche perché sottoponeva ad una maggiore visibilità e maggior controllo esterno le deliberazioni dei consigli di amministrazione – contestarono la riforma, ma, asfitticamente non ebbero la capacità di tenere il passo con i tempi favorendo – assieme al Sindacato – la contrattualizzazione del rapporto di lavoro ma al tempo stesso invocando la salvaguardia di specificità normative ed operative per il settore della ricerca. Il Sindacato confederale CISL, a sua volta, pur conscio che l’estensione del “parastato” agli enti di ricerca fosse del tutto impropria perché basata su un criterio meramente formale, vale a dire la conformazione giuridica degli enti pubblici ma non la loro funzione – cioè la particolare operatività preordinata al raggiungimento di scopi specifici di arricchimento scientifico e di sviluppo dell’innovazione nei processi produttivi e sociali – accettava tuttavia i limiti della legge di riforma pur di non perdere la conquista della contrattualizzazione.
In quel contesto gli iscritti CISL CNR promossero un Congresso, il primo congresso nazionale della CISL CNR, che si tenne a Firenze, in presenza anche di rappresentanti dell’altro sindacato CISL più rappresentativo – quanto meno allora – della “funzione ricerca”, vale a dire il SILARN che aggregava i lavoratori CNEN, EURATOM e CISE. Il Congresso si tenne il 23 e 24 settembre 1972 a Firenze.
In sintesi, il parastato pur non rinnegando del tutto il modello normativo per cui, a valle della legge di riforma, si collocava un decreto delegato, disponeva però che esso venisse emanato a seguito di contrattazione tra le parti. Il che puntualmente avvenne con la legge delega n. 75 del 1970 e il DPR 411 del 1976. A valle di tali eventi di carattere molto più generale, i sindacati della ricerca, pertanto, rinvennero in tale soluzione – anche se non perfettamente confacente con le specificità della ricerca – lo strumento per addivenire ad un tempo ad un rapporto di impiego di tipo contrattuale e – non meno importante – a pervenire ad un contratto unico per tutto il settore della ricerca, fattore, al tempo stesso, di forza sindacale e di coordinamento delle politiche in favore della ricerca scientifica e tecnologica.
Per cui, nell’imminenza della legge, e poi negli eventi contrattuali di trattative che intercorsero tra l’elaborazione del “411” (es. criteri e livelli di inquadramento tra precedenti e nuovo trattamento), furono infarciti da articoli, proclami e pamphlet contro il “parastato” nella ricerca. La legge 70/75 fu poi per anni evocata dall’intellighentia dell’Associazione degli accademici (ANPUR) come il male assoluto per coprire ogni errore e sperpero gestionale della ricerca. Se si va ancora poco più in profondità, si vede che l’opposizione dell’establishment era determinato non poco dal fatto che le delibere dei consigli di amministrazione dovevano passare al vaglio delle amministrazioni di vigilanza, il che limitava di molto l’area delle opacità tradizionali in alcuni enti.
Cosicché l’impegno della CISL Ricerca – una volta conseguito l’assetto contrattuale, sebbene all’interno del “parastato”- fu quello di conquistare per il personale della ricerca un certo ambito di specificità di norme e disposizioni contrattuali discendenti strettamente da esigenze funzionali per esercitare le attività di ricerca (vedi ad esempio i congedi per motivi di studio, il diritto alla mobilità scientifica) nel mentre i confederali di allora si battevano contro la mobilità dei lavoratori, che aveva tutt’altro segno.
La battaglia della CISL Ricerca in quel periodo non fu semplice perché dovette essere vinta prima contro le opposizioni interne alla federazione: infatti la legge 70 portava inevitabilmente a dover confluire nell’ambito della Federpubblici CISL. Successivamente nel corso delle trattative di Palazzo Vidoni a Roma, nelle interminabili nottate la sparuta categoria degli addetti alla ricerca si trovò a contrastare con colossi di enti e di interessi come l’INAM (l’istituto di assistenza malattie che costituirà poi la struttura portante del servizio sanitario nazionale), l’INPS, il CONI.
La legge di riforma (che vide la luce nel 1975/n.70-Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), il decreto delegato (il DPR n.411 del 1976) e soprattutto le successive contrattazioni riguardanti le modalità di travaso del personale dei singoli enti dai precedenti al nuovo inquadramento all’interno delle qualifiche e livelli stabiliti dal Decreto delegato, resero evidente l’inadeguatezza del sindacalismo parcellizzato all’interno di ogni singolo ente rispetto all’entità dei problemi contrattuali e soprattutto rispetto all’entità delle forze, dei poteri e dei numeri in gioco. In sostanza gli addetti alla ricerca, tutti assieme, scomparivano rispetto ai numeri del settore assistenziale e previdenziale (INAM e INPS, INAIL, CONI, principalmente) e agli interessi economici che operavano all’interno di tali enti), figurarsi quelli dei piccoli enti come ad esempio, i circa venti dipendenti dell’Istituto Italiano di Alta Matematica. Al tempo stesso si rese evidente la necessità per i sindacati confederali stessi di confluire all’interno di federazioni maggiormente tutelanti dal punto di vista della loro consistenza numerica a maggiore rappresentatività.
Per cui – sulla scorta di quanto anticipato dai lavoratori del CNEN e del CNR che avevano fuso i loro sindacati già prima dell’emanazione del DPR 411, confluirono mano mano nella CISL Ricerca anche gli iscritti ai piccoli sindacati degli enti di ricerca minori. L’operazione non fu del tutto semplice. Da notare, ad esempio che il SILARN aggregava anche i lavoratori del Centro Comune di Ricerca CCR di Ispra, dipendente dall’allora EURATOM ed oggi dalla Commissione dell’Unione. Esso aggregava pure, quale unico sindacato, i lavoratori CISE (Centro Italiano Studi Esperienze, di Milano, organismo a carattere privatistico) disciplinati quindi da ben altro rapporto contrattuale e con tutt’altri datori di lavoro, ma che trovavano nel SILARN, l’incontestato l’humus sindacale e culturale per loro più confacente. Ebbene, con l’evento “parastato” il CISE uscì dal SILARN, mentre vi restarono gli iscritti EURATOM, come pure vi restarono a seguito della confluenza nella CISL Ricerca.
L’andamento delle vicende della legge del parastato, le interazioni con i gruppi parlamentari che discutevano la legge (vedi on. Galloni), l’inconsistenza della politica per la ricerca e il disconoscimento delle specificità della ricerca e dei suoi addetti, indussero il sindacato CISL Ricerca – non per propri convincimenti – ma in ossequio a preesistenti logiche confederali ed istituzionali – ad abbandonare la tendenza all’abbraccio con la CISL Università e a stringere la cooperazione con il SILARN. Il primo congresso in cui fu deliberata la nascita della CISL Ricerca come unità rappresentativa di tutte le realtà CISL all’interno degli Enti di ricerca si tenne a Roma il 3 e 4 maggio 1973 nella sede della Confederazione in Via Po 21. Nella relazione di Campanella – segretario generale – si sosteneva la rivendicazione di una politica della ricerca e un assetto contrattuale articolato ma comunque su base contrattuale. Per cui per i lavoratori del CNEN, CISE, EURATOM, si rivendicava il modello privatistico; mentre per i lavoratori CNR, INFN, INN, IIAM, ecc, si ribadiva il modello pubblicistico, ma comunque strutturato su base contrattuale: il che comportava il rifiuto dello “stato giuridico” adottato con legge o decreto, come avveniva al tempo per la generalità dei pubblici dipendenti dello Stato e degli enti assimilati, compreso il CNR stesso in cui – all’epoca – convivevano i ricercatori disciplinati da decreti e i ricercatori disciplinati dal cosiddetto “contratto Polvani”.“ ( Gli atti del congresso costitutivo della CISL ricerca, riportano – vedi Relazione Tonelli – un documento su “Unità sindacale e patto federativo” della fine 1972, l’unità patrocinata in sede CISL dalle politiche di Storti e Carniti, contestate peraltro dalla Federpubblici guidata da Marini; vedi documento contenente Cronistoria del SILARN; vedi documento “ricerca e società” di Campanella, del 10 ottobre 1973).
Nel corso del tempo, tuttavia si rafforzò la tendenza a portare la nuova sigla risultante dalla fusione, vale a dire la CISL Ricerca – verso l’afferenza alla federazione FLAEI. L’incarico di segretario generale, nel frattempo, restava affidato a Campanella.
Nella primavera del 1974 si rese necessario un nuovo congresso – che si tenne a Subiaco – essenzialmente per omogeneizzare la base sindacale proveniente da esperienze abbastanza difformi, per produrre, conseguentemente, un consiglio generale e una segreteria molto più rappresentativa delle diverse anime (principalmente CNR, CNEN, EURATOM) e dei diversi territori. Il congresso di Subiaco, nel mentre consolidava gli intenti riguardo alle posizioni rivendicative da tenere in attuazione del contratto del parastato, fu essenziale per costruire un comune sentire, un affinamento riguardo al patrimonio di valori che ogni singolo delegato apportava nel sindacato, e quindi per la creazione di idee e proposte di riforme istituzionali e operative riguardo alla funzione sociale, oltre che culturale, della ricerca scientifica pubblica (vedi Relazione Casolino a Subiaco), riguardo alla necessità di coordinamento nazionale; riguardo all’interazione con l’azione politica e amministrativa delle regioni, il cui ordinamento si andava faticosamente completando (vedi Ricerca e Regioni). Nel consenso generale riguardo alla fusione del sindacato prevalevano non certo motivazioni di carattere rivendicativo-salariale – infatti i modelli contrattuali di riferimento erano ben differenti all’interno dei singoli enti – bensì motivi incentrati sulla rivendicazione di una politica della ricerca coordinata e dignitosa per un Paese di rilievo anche in quanto fondatore dell’allora Comunità Europea; motivi che portavano in rilievo l’affermazione del ruolo di quel nuovo mestiere – quello di ricercatore e di tecnico di laboratorio – che affiorava nella vita economica e sociale della Nazione. Infatti la CISL Ricerca partiva con il sostenere per il personale del CNR il rapporto pubblicistico, ma contrattato, e nello stesso tempo il rapporto contrattuale privatistico dei settori elettrici ed energia cui facevano riferimento i trattamenti del personale CNEN, CISE ed EURATOM, ma tutti destinati a contenere decise specificità legate alla funzione “ricerca”. Il modello privatistico veniva allora affermato, da notare, anche in dissenso rispetto alla CGIL e alla UIL CNEN di allora. Questo diverso sentire all’interno della CISL Ricerca nei riguardi di talune altre sigle sindacali portava ad adottare una buona prudenza riguardo al problema dell’unificazione sindacale allora ampiamente dibattuto e fortemente sostenuto anche all’interno della confederazione nel corso dalla segreteria Storti. Nel corso del congresso di Subiaco, il relatore del documento perfezionato dagli iscritti ex SILARN, teneva ad affermare “pur andando progressivamente sfumando le ragioni che determinarono il pluralismo sindacale, quali la differenziazione ideologica e di concezione del sindacato, è ancora necessario operare con gradualità per giungere al completo superamento”, per cui “il Patto federativo è, allo stato attuale delle cose, il momento più realistico del processo unitario”. Le risultanze del congresso di Subiaco servirono anche a rafforzare la spinta del Sindacato Ricerca presso le forze parlamentari per ottenerne iniziative legislative intese al riconoscimento della funzione culturale, economica e sociale della ricerca e quindi alla riforma delle strutture scientifiche: il che si ottenne nel corso del 1974 (Proposta di legge Bianco 13 agosto 1974).
Il Congresso, in parallelo alla fusione da parte dei sindacati di provenienza dai singoli Enti di ricerca, stabiliva anche la creazione di un Coordinamento nazionale degli iscritti ai singoli enti.
Il Congresso di Subiaco registrò quindi un deciso consolidamento del processo di fusione dei singoli sindacati CISL operanti nella ricerca, l’accrescimento di un sentire comune mediante la condivisione del patrimonio di motivazioni ideali, di proposte e di sollecitazioni maturato per circa un decennio dalla base sociale dei laboratori di ricerca, In sostanza una vivacità culturale che indusse la Confederazione ad iscrivere la CISL Ricerca tra i sindacati di prima affiliazione, nonostante che l’incombente “legge del parastato” portava a suggerire al segretario confederale Marini di collocarla all’interno della Federpubblici.
La legge del parastato fu comunque causa di un sommovimento nell’organizzazione sindacale in quanto, all’indomani della legge 70 del 1975 di riassetto, i sindacati confederali e di categoria furono chiamati a partecipare alla trattativa da cui avrebbe dovuto scaturire il decreto delegato, il che puntualmente si verifico nel 1976 con il DPR 411. In quella trattativa i lavoratori del CNEN si trovarono coinvolti, in quanto la legge di riassetto li includeva, per cui parteciparono alla lotta comune per ottenere – assieme agli addetti degli altri enti di ricerca (non solo il CNR quindi) – il riconoscimento di una qualche specificità di addetti alla ricerca, cosa che non offriva il contratto degli elettrici.
Nel corso del 1975, all’indomani della legge ’70 , quella innovazione normativa suggellò definitivamente ogni ipotesi di aggregazione sindacale con l’Università. Si allontanava il modello organizzativo “università ricerca”; emergeva il modello “ricerca sviluppo”; cosicché – fino all’emanazione del contratto del parastato, tutto il sindacato ricerca si orientò verso l’adesione alla FLAEI in cui si trovava già collocato il sindacato dei nucleari del SILARN.
Il periodo 1975-76 fu caratterizzato da un’attività convulsa che vide impegnata la CISL Ricerca sul fronte politico prima per sostenere le ragioni della ricerca all’interno della Commissione parlamentare (Galloni) che procedeva ad emanare la legge delega del parastato e successivamente sul fronte delle trattative che si svolgevano presso il ministero della Funzione Pubblica tra la Delegazione dei presidenti degli enti di ricerca, il Governo e la congerie delle sigle sindacali. Caratterizzante fu il vertenziale relativo alla gestione del “primo inquadramento” nel parastato. Il presidente del CNR Faedo (1972-1976) conduceva la delegazione nella prima parte delle trattative, inducendo – spinto dalla preoccupazione di non svantaggiare i livelli retributivi dei docenti universitari – a soluzioni contrattuali che vennero ritenute punitive dalla base dei ricercatori e tecnici degli enti scientifici. La seconda parte fu gestita dal successivo presidente del CNR Quagliariello (1976-1984) in un clima contrattuale molto più disteso.
I contrasti legati all’inquadramento del personale all’interno del “parastato” provocarono anche ripercussioni interne al sindacato dato che da un lato esso dovette afferire alla Federpubblici, in cui – per ragioni esclusivamente contrattuali – si diluivano ulteriormente le connotazioni di politica della ricerca che caratterizzava l’azione dei sindacati ricerca di provenienza. Dall’altro, un inquadramento contrattuale ritenuto punitivo da parte della maggioranza degli iscritti determinò una certa contestazione nei riguardi del segretario generale della Ricerca, Luigi Campanella, a cui seguirono le sue dimissioni. Dopo di che l’incarico di segretario generale veniva conferito a Casolino, con il mandato di organizzare il congresso di fusione di tutti i sindacati CISL operanti negli organismi di ricerca. Tutto ciò anche in vista del congresso confederale (l’VIII congresso del 14-18 giugno 1977, il congresso che eleggerà Macario a segretario generale). Il che puntualmente avvenne anche grazie al sostegno confederale da parte del Segretario Franco Marini.
Il 19 marzo 1979 l’Ufficio organizzativo CISL delibera di realizzare un percorso di Accorpamento Federativo FLAEI, FEDERENERGIA e RICERCA (con uno schema di statuto) – a seguito del deliberato dell’Esecutivo Confederale del 2.10.1978 che inoltre riconosceva alla CISL Ricerca la qualità di sindacato di prima affiliazione.
In quel contesto di consolidamento organizzativo la Cisl Ricerca, sul finire del 1979, dava vita al periodico Politica della ricerca.
A cura di Enzo Casolino e Italo Giabbai
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